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Volevo vedere l'Africa
Swing, cannoni, cammelli e musette. Storia di un giovane, oltre il mare di Alboràn
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Descrizione
La storia di un uomo e di tutte le sue guerre. Un ragazzo a zonzo per il mondo fra '42 e '47. Divisa italiana e poi americana sulla pelle, nel cuore il sogno di esplorare, ai piedi antiche radici che artigliano profonde la terra di origine. L'equilibrio che gli permetteva, bambino, di scapicollarsi in bici giù dai tornanti di Tre Stelle, lo fa marciare dritto nella polvere del deserto bilanciando - con sapienza contadina - dovere di servizio e istinto di sopravvivenza. In Libia, intruppato nello sventurato esercito fascista, nei campi di prigionia di Tunisia e Algeria, in Marocco, in Inghilterra e in Francia al seguito degli Alleati. Poi il ritorno, in un'Italia sconfitta e vittoriosa allo stesso tempo, nell'uniforme del vero vincitore. Una nuova fuga, infine, sui sentieri dei passeurs. Un'odissea di sei anni. Primo, ormai vecchio e consapevole di dover morire presto, racconta al figlio la sua meravigliosa e tragica epopea, senza nascondere nulla: gli ideali, gli amori, gli inganni di una vicenda umana assolutamente straordinaria, tra il deserto africano e le coste inglesi, le rovine di Caen e i bassifondi di Marsiglia. La malattia è la battaglia finale.Biografia dell'autore
Teresio Asola
Così la raccontiamo noi:
Nato ad Alba nel 1960, torinese d’adozione, sessantaquattro anni, ex dirigente aziendale. Dieci i romanzi pubblicati, quattro con l'editrice Araba Fenice: Volevo vedere l’Africa (2010), All’orizzonte cantano le cascate (2013) e L’alba dei miracoli (2016), oltre a questo L'Alba dei segreti (2024), . Sempre per Araba Fenice, Teresio Asola ha tradotto il romanzo Angel of Alta Langa (Amore e guerra in Alta Langa, 2023) dell'autrice americana Suzanne Hoffman
Così invece si racconta lui:
Sono nato ad Alba l'ultimo sabato di novembre del 1960. Era l'ora in cui al mercato di San Giovanni sbaraccavano le merci, e al tramestio dei clienti misto al vociare dei venditori si avvicendava il muto lavorìo dello sgombero: un contadino segaligno copriva con la tela le robiole nella cesta di vimini e s'incamminava alla corriera delle due dopo un'ultima visita all'osteria; un trifulau ricacciava in una tasca che sapeva di trinciato il fazzoletto a quadri con l'invenduto degli ultimi tartufi di stagione, stringendosi nel pastrano di lana nera; un campagnino spingeva su un carretto a due ruote i sacchi di legumi - uno alla volta - per riporli ritti sul camion; una contadina trasferiva sulla giardinetta gabbie pigolanti di pulcini e conigliere irte d'orecchie; un allevatore tirava su per la rampa dell'autocarro un quadrupede recalcitrante legato a un canapo giallo sfilacciato. Il primo vagito s'impastò col frignare di una pecora; non col ralio di un somaro, peccato. Il mio nome è Teresio, in onore della nonna come usava da queste parti e perchè un sant'uomo dal bell'aspetto - tutto casa e famiglia - che abitava nel borgo portava quel nome; fortunato, io, che quel tale non si chiamasse Policarpo o Ildefonso. Il cognome, Asola, non so. Medievali ascendenze sartoriali, forse.
Laurea in Lingue nel 1984 con una tesi su George Orwell: Un pò di poesia (Diario in frammenti, 1983) mentre scrivevo recensioni di libri per un settimanale locale e imparavo un mestiere nella più grande azienda di Alba. Per lavoro ho bazzicato - convintamente - diverse funzioni aziendali (marketing, personale, organizzazione), curiosato in svariati settori industriali (alimentare, robotica, elettromeccanica, abbigliamento, cartario), prima di essere scelto per dirigere, nel '99, un'azienda pubblica del Torinese animata dall'ambizione di nuovi paradigmi e di grandi sfide: efficienza energetica globale, energie rinnovabili e sostenibilità. Nel 2009 ho firmato un capitolo dell'ultimo libro del covincitore del Nobel per la Pace 2007 Woodrow W.Clark, Sustainable Communities (Springer). In anni passati ho tradotto (per mero svago e piacere) pagine di Marquez, Orwell, Malamud e A.Miller; nel 1993, Relato de un naufrago di G.G.Marquez. Nel poco tempo libero scrivo. Alla parola orale - per indole, per carattere - preferisco quella scritta. Ho una moglie e tre figli di 19, 18 e 10 anni, che mi sopportano nel mio notturno scrivere. Abito a Torino dal 1987.
Un gran libro, da consigliare. L'ho letto d'un fiato, poi l'ho prestato a una mia amica che l'ha prestato a sua volta a un'altra amica. Spero me lo restituiscano presto perché voglio rileggerlo.
L'ho letto d'un fiato. Non aggiungerei altro, se non consigliarlo e regalarlo (come ho fatto io). Grazie. Benedetto Marchi
Da qualche mese conservava questo libro incuriosito dalla recensione di Tuttolibri della Stampa . Subito appassionante . Una cavalcata nella nostra storia , ma soprattutto nella vita di chi questa storia l'ha vissuta caricandosi sulle spalle le fatiche i rischi le privazioni ma anche le aspettative, le delusioni ma anche le gioie. Un racconto fresco vivo non autocelebrativo. Alla fine del libro ci sentiamo tutti orgogliosi figli di Primo
Bello. Alle ultime pagine ho rallentato, centellinato ogni riga perché avrei voluto che il libro non finisse. Mi ero affezionata a Primo. Innamorata? Sarà che metà del mio sangue scorre nel basso Piemonte dove è nato il protagonista, e che io ho avuto un padre così. Mi ha lasciato appetiti, dentro. Voglio sapere che cosa gli è capitato, dopo. Come un amico. Come se Alba fosse la mia città ligure e Poggiantìco il quartiere dove sono nata o il villaggio dei miei nonni nell’entroterra. Spero che l’autore stia pensando a un prosieguo. E che lo si legga nelle scuole, perché i ragazzi capiscano come i coetanei in un passato poco remoto vivessero i loro anni migliori.
È la storia di una vita. Come dovrebbero esserlo i migliori romanzi. Del resto, che cos’è più fantastico, romanzesco e avventuroso, dei passi di una vita, se calcati intensamente? E che cosa più doveroso per uno scrittore, e piacevole, che seguirne le tracce? Pur femmina, io mi sono immedesimata nel protagonista, commossa e divertita (e dire che la copertina me l’aveva fatto pensare un memoriale di guerra). Passato indenne il prologo un po’ lungo ma che ha il suo perché, ho percorso con questo moderno Barry Lyndon le strade del mondo, ho sofferto e amato con lui, combattuto e sorriso. Io stessa sono diventata protagonista. Tale trasporto l’avevo sperimentato con Ceneri di Angela di Frank Mc Court; le atmosfere dolci e lo spirito giocoso li avevo vissuti guardando Mediterraneo; i fotogrammi di un’esistenza intera, i rimandi alla fanciullezza, il racconto del padre, nel Nuovo Cinema Paradiso; lo spirito di fratellanza, l’uomo nel nemico, in Joyeux Noel. Cito i film perché ho letto come guardando un film, osservandomi sulle pagine.
Senza rivelare il finale diciamo che c’è speranza, un altrove cui dirigersi, un rifugio da costruire, una nuova frontiera da raggiungere, si profilano nuovi orizzonti cui tendere e da cui magari tornare, come gli storni e le rondini. C’è un domani, oltre il mare di Alboràn.
A me invece è stato regalato, "Volevo vedere l'Africa". Subito ho pensato: "Il solito libro di guerra. Il solito reduce che scrive": anche perché la copertina fa risaltare il militare mentre il titolo (che si perde sullo sfondo) evoca subito al contrario una dimensione più fantastica. Quel "volevo vedere", antitetico allo spirito guerresco che implicherebbe tutto tranne che osservare, e l'Africa, poi. Fin dalle prime pagine si rivela il vero spirito del libro: le confessioni, avventurose e appassionate, di un vecchio langarolo che è stato (ed è ancora) giovane in uno dei periodi più oscuri della nostra storia. Rimarrà deluso (lo dice anche l'autore in premessa) chi cerca il spasmodico dettaglio, la data e l'ora della battaglia, i nomi, i caduti, i generali, l'inappellabile riscontro storiografico. Questo non è un libro di generali e non è un libro di guerra, anche se la cornice è quella. E' un romanzo, un compagno. Un libro vero di un uomo vero. Che avrei voluto conoscere sul serio, dopo averlo conosciuto su queste pagine. Un amico. Grazie ad Araba Fenice ho un amico in più: Primo, il protagonista di "Volevo vedere l'Africa". I libri servono anche a questo: rendere manifeste piccole storie che diventano grandi, nella misura in cui ci si possa identificare; arricchire la propria vita con un amico vero e con una storia che valga la pena di serbare nel cuore. Come questa.
L'ho regalato a un mio amico. L'ha letto e l'ha passato in famiglia. In un mese ha fatto il giro, di mano in mano, e dire che in famiglia loro sono in 6. Il mese dopo l'ho chiesto in prestito all'amico cui l'avevo regalato e che me ne aveva parlato bene. Anche a me è piaciuto molto, l'ho letto d'un soffio: la nostra campagna, le storie di un bambino che cresce, i sogni del ragazzo di Langa che si arruola volontario per vedere l'Africa, le battaglie, gli amori del giovane, e molto ancora. Me lo sto rileggendo, non so quando (se) lo restituirò al mio amico...
Ho finalmente letto questo libro che da parecchio vedevo sulle bancarelle di Araba Fenice. L'ho comprato dopo aver letto "All'orizzonte cantano le cascate" del medesimo autore. Bello, questo libro "africano", come "All'orizzonte...". Appassionante. E non parla solo di Africa, né di guerra. C'è la Langa, anzi, molta Langa, e ci sono amori, e civiltà contadina. Ingredienti ben miscelati. Complimenti davvero.
La guerra italiana in Nordafrica come mai è stata raccontata. Da leggere.
Sveliamo che il protagonista del romanzo "Volevo vedere l’Africa" guidò l’ufficio tecnico negli anni ’60 e ’70, anni di massimo sviluppo urbanistico di Alba. Ma vi arrivò dopo aver maturato esperienze. E per farlo, dovette partire da Neive per la Libia, soffrire la guerra e la prigionia, vestire due divise come Barry Lyndon, tornare in uniforme americana nella casa di fronte al Comune, e ripartire ancora per la Francia e tornare un’altra volta, trascorsi altri due anni. Perché è necessario migrare, ma poi, come scrisse Cesare Pavese, “un paese ci vuole”. E allora Primo di "Volevo vedere l’Africa" ritorna ad Alba, e poi...
Sveliamo che il protagonista del romanzo, "Volevo vedere l’Africa", guidò l’ufficio tecnico negli anni ’60 e ’70, anni di massimo sviluppo urbanistico di Alba. Ma vi arrivò dopo aver maturato esperienze. E per farlo, dovette partire da Neive per la Libia, soffrire la guerra e la prigionia, vestire due divise come Barry Lyndon, tornare in uniforme americana nella casa di fronte al Comune, e ripartire ancora, verso la Francia, per tornare un’altra volta, trascorsi altri due anni. Perché è necessario migrare, ma poi, come scrisse Cesare Pavese, “un paese ci vuole”. E allora Primo di "Volevo vedere l’Africa" ritorna ad Alba e poi...
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