Descrizione
La prima edizione assoluta di tutte le miniature del capolavoro medievale "Le livre du Chevalier Errant" di Tommaso III di Saluzzo.
Il manoscritto raccoglie il meglio della produzione di copisti e miniatori allora attivi a Parigi al servizio della più alta nobiltà, o della ricca borghesia, dalla stessa regina Isabella di Baviera, ai duchi di Berry e d’Orléans. Per realizzarlo, Tommaso III, committente e autore del testo, non badò a spese: volle trasformare il frutto dell’impegno letterario in un affascinante oggetto d’arte, degno delle più grandi corti europee, riuscendo a pieno nel suo disegno.
Si tratta di un pregevole codice, la cui realizzazione testimonia la magnificenza e le ambizioni culturali e politiche della committenza. Ogni carta, ogni miniatura, ogni decorazione, ogni elegante gioco calligrafico è infatti una dichiarazione visiva di un preciso rango e di un gusto raffinato. La passione per l’ideale cavalleresco e le sue utopie, e la conseguente difesa a oltranza della nomea e dei colori della sua città contro il dominio della famiglia Savoia, con la penna, dopo aver fallito il tentativo con la spada. La presenza in una particolare miniatura, delle insegne di Filippo l’Ardito, duca di Borgogna, induce a collocare la composizione dell’opera prima del 1404, anno della sua morte. Inoltre, il disegno abbinato delle casate dei Saluzzo e dei Roucy, (famiglia cui apparteneva Marguerite moglie di Tommaso), visibili nella decorazione della carta dedicata alle Nove Eroine, suggerisce che il lussuoso manoscritto possa essere stato probabilmente confezionato come dono matrimoniale (1403 in Parigi).
L’appartenenza del codice al numero di quelli certamente usciti dall’atelier librario della Pizan, da tempo acquisita, ha evidenziato il coinvolgimento diretto della poetessa alla realizzazione dell’opera, ideazione e messa en page, commissionatale dal marchese di Saluzzo. La scoperta che la grafia, una minuscola semicorsiva, se confrontata con le altre utilizzate dalla Pizan, mostri un tratto decisamente vicino a quello indicato come “mano X”, attribuito alla stessa Christine negli studi sui suoi manoscritti autografi, ha recentemente proposto nuove sottolineature alla misura dei suoi interventi.
Il manoscritto raccoglie il meglio della produzione di copisti e miniatori allora attivi a Parigi al servizio della più alta nobiltà, o della ricca borghesia, dalla stessa regina Isabella di Baviera, ai duchi di Berry e d’Orléans. Per realizzarlo, Tommaso III, committente e autore del testo, non badò a spese: volle trasformare il frutto dell’impegno letterario in un affascinante oggetto d’arte, degno delle più grandi corti europee, riuscendo a pieno nel suo disegno.
Si tratta di un pregevole codice, la cui realizzazione testimonia la magnificenza e le ambizioni culturali e politiche della committenza. Ogni carta, ogni miniatura, ogni decorazione, ogni elegante gioco calligrafico è infatti una dichiarazione visiva di un preciso rango e di un gusto raffinato. La passione per l’ideale cavalleresco e le sue utopie, e la conseguente difesa a oltranza della nomea e dei colori della sua città contro il dominio della famiglia Savoia, con la penna, dopo aver fallito il tentativo con la spada. La presenza in una particolare miniatura, delle insegne di Filippo l’Ardito, duca di Borgogna, induce a collocare la composizione dell’opera prima del 1404, anno della sua morte. Inoltre, il disegno abbinato delle casate dei Saluzzo e dei Roucy, (famiglia cui apparteneva Marguerite moglie di Tommaso), visibili nella decorazione della carta dedicata alle Nove Eroine, suggerisce che il lussuoso manoscritto possa essere stato probabilmente confezionato come dono matrimoniale (1403 in Parigi).
L’appartenenza del codice al numero di quelli certamente usciti dall’atelier librario della Pizan, da tempo acquisita, ha evidenziato il coinvolgimento diretto della poetessa alla realizzazione dell’opera, ideazione e messa en page, commissionatale dal marchese di Saluzzo. La scoperta che la grafia, una minuscola semicorsiva, se confrontata con le altre utilizzate dalla Pizan, mostri un tratto decisamente vicino a quello indicato come “mano X”, attribuito alla stessa Christine negli studi sui suoi manoscritti autografi, ha recentemente proposto nuove sottolineature alla misura dei suoi interventi.
Dal saggio introduttivo di Marco Piccat
A giudicare dal numero di esemplari oggi noti, l’opera del Marchese di Saluzzo deve aver avuto una diffusione limitata, seppur non esclusivamente privata. Oltre al manoscritto che ci interessa qui, conservato presso la Biblioteca nazionale di Francia (BnF, fr. 12559), solo un altro manoscritto, forse di qualche anno posteriore, trasmette l’opera di Tommaso; questo secondo codice, di più modesta fattura, conservato presso la Biblioteca nazionale universitaria di Torino (L.V.6), è stato purtroppo danneggiato dall’incendio che ha colpito la biblioteca nel 1904. Si ha inoltre notizia di un terzo manoscritto, privo di miniature, ma forse contenente correzioni della mano dell’autore, di cui però si è persa traccia alla fine del XVIII secolo.
Il manoscritto fr. 12559 fu realizzato a Parigi intorno al 1403-1404 per volontà di Tommaso. Si tratta di un codice di lusso, la cui confezione ha richiesto la collaborazione di diversi professionisti e, di conseguenza, mezzi economici conseguenti.
Occorre infatti persare che, nel Quattrocento, il costo per far copiare un manoscritto era considerevole a causa del prezzo dei materiali usati e del lavoro specializzato che ciò comportava. La copia veniva generalmente realizzata su commissione e il costo finale dipendeva da diversi fattori materiali, tra cui la lunghezza del manoscritto, e quindi il tempo impiegato dal copista, e la qualità del supporto scrittorio (la pergamena o la carta); a questi andavano poi aggiunti gli eventuali elementi accessori, come la decorazione e la legatura, spesso realizzati in un secondo tempo, in grado di far lievitare il valore finale dell’oggetto prodotto.
Il manoscritto fr. 12559 fu realizzato a Parigi intorno al 1403-1404 per volontà di Tommaso. Si tratta di un codice di lusso, la cui confezione ha richiesto la collaborazione di diversi professionisti e, di conseguenza, mezzi economici conseguenti.
Occorre infatti persare che, nel Quattrocento, il costo per far copiare un manoscritto era considerevole a causa del prezzo dei materiali usati e del lavoro specializzato che ciò comportava. La copia veniva generalmente realizzata su commissione e il costo finale dipendeva da diversi fattori materiali, tra cui la lunghezza del manoscritto, e quindi il tempo impiegato dal copista, e la qualità del supporto scrittorio (la pergamena o la carta); a questi andavano poi aggiunti gli eventuali elementi accessori, come la decorazione e la legatura, spesso realizzati in un secondo tempo, in grado di far lievitare il valore finale dell’oggetto prodotto.
Dalla presentazione di Graziella Pastore